10 settembre 2012

L'impresa di Fiume fuor di retorica

Ecco l'impietoso riassunto della impresa fiumana fatto da Martin Clark in "Storia dell'Italia Contemporanea", Bompiani, già RCS, 1999:
Francobollo emesso a Fiume durante la Reggenza
del Carnaro di Gabriele d'Annunzio.
"A settembre GABRIELE D'ANNUNZIO acconsentì a guidare un colpo militare organizzato da alcuni alti ufficiali dell'esercito, da importanti nazionalisti e da due industriali. Marciò su Fiume con 2.000 "legionari" [i cosidetti Arditi del Popolo NdR], per lo più disertori o ammutinati dell'esercito. Il Comandante sarebbe rimasto a Fiume per quindici mesi, continuando, a urlare il suo disprezzo verso Cagoja [nomigliolo affibiato a Nitti dal vate NdR] e anche verso il suo successore, Giolitti. Fiume divenne il simbolo del fervore patriottico e delle vitalità giovanile. Futuristi, ex militari, nazionalisti, sindacalisti anarchici e avventurieri vi si precipitarono da tutta Italia. Scorrazzarono in lungo e in largo in cappa e spada (letteralmente), molestando i cittadini, e divertendosi un mondo. Il regime era una festa permanente, tutta processioni e cerimonie, danze e slogan. L'idea dannunziana della democrazia era simile a quella che, più tardi, sarebbe stata di Mussolini: lunghi discorsi retorici fatti da un balcone verso le folle estasiate, che gratificano l'oratore con le loro acclamazioni."

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E infatti il 12 settembre 1919, vista la piega presa dalla conferenza di pace, Gabriele D’Annunzio decise di rompere gli indugi e a capo di una colonna di volontari, entrò in Fiume, dove i suoi furono accolti da una popolazione entusiasta e letteralmente coperti di fiori e di serti di alloro. Nei giorni successivi le truppe francesi, inglesi e americane abbandonarono la città e per Fiume iniziarono i giorni avventurosi e fuori di testa della Reggenza del Quarnaro, così il poeta aveva battezzato il suo governo d'occupazione squadrista. Il suo esercito era costituito da insubordinati di ogni grado e arma dell'Esercito Italiano e da spostati di ogni tipo. Gli abitanti per più di un anno vissero di pochi viveri, di feste e di spettacoli, di belle parolle declamate  dai balconi. Mio papà aveva due mesi, essendo nato nel luglio del 1919. L'età giusta per essere arruolato da Mussolini giusto giusto per finire nella campagna di Russia.
Ma, tornando a bomba, va detto che d'Annunzio seppe radunare attorno alla sua persona gli insoddisfatti e gli sbandati delle piazze e dei salotti di mezza Italia, senza andare troppo per il sottile in quanto agli indirizzi politici e badando invece alla disponibilità all'azione e allo scontro. Tutto ciò nel clima carico di acrimonia e aspettative dell'immediato dopoguerra. La calamita dannunziana attirò a sè il pulviscolo sollevato in quel dopoguerra tumultuoso dal reducismo militare, dai conati squadristi, dal nazionalismo irredentista, dal rivoluzionarismo generico, dal sindacalismo rivoluzionario, dal decadentismo futurista, dalla fede nella palingenesi sociale ed anche, più semplicemente, dalle mode e dallo zeitgeist tel tempo. Perchè D'Annunzio era trendy, non dimentichiamolo. Un anno dopo la fine dell'ubriacatura fiumana Mussolini prese il potere.
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D'Annunzio inventò, inoltre, molti degli altri tratti folcloristici che il successivo regime fascista avrebbe fatti propri, tra cui le milizie, il saluto romano, l'olio di ricino per i dissidenti, e persino l'insensato urlo "Eia eia alalà" [in realtà deriva dal greco, e alalà era una parola vetusta ma usata anche dal Carducci, NdR]. Ma l'impresa di Fiume non fu soltanto una specie di opera comica, né un "maggio 1968" della Destra. Il Comandante emetteva proclami "urbi et orbi". Fondò la Lega di Fiume, una specie di "anti-Società delle Nazioni" per i popoli oppressi, e all'interno della città proclamò una Costituzione rivoluzionaria, scritta in gran parte dal suo amico sindacalista Alceste De Ambris. Vi si proclamava che Fiume era uno "Stato di produttori". Chiunque volesse farne parte doveva essere membro di una delle dieci "gilde", o "corporazioni" che guidavano l'economia. La camera alta del parlamento sarebbe stata eletta all'interno di queste corporazioni."

Nacque allora a Fiume il saluto col braccio alzato, la cintura col pugnale, la camicia nera istoriata di teschi, quindi tutto il funebre armamentario di simboli e di emblemi che in seguito doveva caratterizzare il fascismo. D'Annunzio, il vate, governava sulla pubblica piazza, interrogando la folla dal balcone: "A chi, Fiume?". E la folla in coro: "A noi!". "A chi, l'Italia?". "A noi!".
Fu con questa procedura che egli elaborò e promulgò la famosa "Carta del Carnaro", traduzione delle sue concezioni politiche e sociali: il potere doveva essere gestito dai migliori, la popolazione doveva essere divisa in sei categorie di produttori, la religione nazionale di Fiume doveva essere la Bellezza e l'Armonia, per cui la ginnastica e il canto rappresentavano doveri sociali, lo Stato doveva provvedere agli anziani e ai disoccupati, i sessi erano parificati, e al libero amore non era posto altro limite che quegli estetici: dovevano farlo solo i belli e in bella maniera.
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La costituzione fiumana fu scritta a quattro mani con quell'Alceste De Ambris, eminente anarco-sindacalista, i cui precedenti politici nulla avrebbero avuto da spartire coi motivi che spinsero i primi legionari a marciare sulla città. Uno dei pochi ad accorgersi della sua statura di rivoluzionario fu, ironia della sorte, Lenin che da Mosca proclamò “ D’Annunzio, l’unico rivoluzionario che ci sia in Italia”. Questa imprevista collusione fra nazionalisti e sinistre non fu che il primo degli elementi di confusione causati dalla vicenda di Fiume, che a sua volta visse l'anno di governo dannunziano in una confusione quasi eretta a modello esistenziale.
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Nel giugno del 1920 tornò al potere Giovanni Giolitti, appoggiato anche dai nazionalisti e da Mussolini, che vedevano in lui l'unico uomo in grado di far uscire il paese dal caos.
E Giolitti fu l'uomo che seppe liquidare Fiume; ma si assicurò l'appoggio di Mussolini, pronto a scaricare il poeta ora che l'avventura fiumana, non avendo dirisolto nulla, stava per ripiegarsi su sé stessa.
Giolitti negoziò direttamente con gli jugoslavi, e nel novembre 1920 le due nazioni giunsero a un accordo.Il giorno di Natale del 1920, Giolitti compì l'ultimo passo, e mandò la marina militare a sloggiare i legionari e D'Annunzio si arrese quasi immediatamente. Il regime del Comandante era terminato."
L'avventura fiumana ebbe termine nel dicembre del 1920, pomposamente celebrato come "Natale di Sangue". La politica dannunziana a Fiume, anche per via di tentennamenti e scelte non univoche da parte del poeta, passato su posizioni più radicali: se l'obiettivo di partenza era il ricongiungimento di Fiume all'Italia, adesso l'obiettivo dichiarato con la progressista Carta del Carnaro era quello di fondare uno stato libero fondato su valori assolutamente diversi e contrastanti rispetto a quelli su cui era fondato il regno d'Italia, ed appoggiato dalla Russia dei Soviet.


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