9 giugno 2013

Le "spontanee" manifestazioni pro-Italia del 1952-53 a Trieste

I servizi segreti del governo Pella s'incaricarono della regìa delle manifestazioni che la stampa definiva all'epoca "spontanee".
Un'immagine degli scontri del novembre 1953 a
Trieste. Nel sito www.bora.la l'articolo a firma
di Paolo Geri, con le informazioni del caso.
Tra chi tirava le fila del lavoro sporco un giovanissimo Giulio Andreotti. Le bande locali coinvolte nelle provocazioni erano proprio "bande" in senso stretto: criminali comuni pagati (e neanche tanto) poi finiti ad affollare le carceri della Repubblica.
Le rivelazioni sono contenute nell'in-tervista ad un ex-membro della polizia civile alleata (inglese), un triestino poi iscrittosi al PCI.
La testimonianza, ripresa dal sito dei veterani inglesi che prestarono servizio nel Territorio Libero di Trieste, è stata pubblicata anche dal sito triestino Bora.La.
Di seguito un estratto dell'articolo di Paolo Geri:
«Vediamo come ricorda Petruzzi il periodo delle manifestazioni filo-italiane del 1952-1953: “Già nel 1952 avevamo la sensazione di possibili situazioni di pericolo; avevamo avuto l’ ordine di stare in guardia e di controllare tutta una serie di personaggi, attivisti e dirigenti politici. Ci fu fornita una lunga lista di nomi, alcuni dei quali poi li ritroviamo a capo delle manifestazioni del novembre 1953. Tra questi c’era anche 
Francesco Paglia che poi morì negli scontri.

Già agli inizi del 1953 il clima in città e di conseguenza il comportamento della Polizia Civile era stato costretto a cambiare: per la prima volta nel mese di ottobre le pattuglie ebbero l’ ordine di muoversi armate di carabine anche durante il giorno mentre prima il servizio così armato veniva effettuato solo di notte dalle 23.00 alle 07.00 del mattino. Evidentemente il comando alleato era in possesso di informazioni preoccupanti relative all’ ordine pubblico in città. Era stato intercettato dalla nostra “intelligence” un telegramma inviato dal Presidente del Consiglio italiano Pella al sindaco Gianni Bartoli in cui Pella raccomandava di evitare manifestazioni, cortei e scontri di piazza in quanto vi erano in corso trattative delicate sul futuro della città.
Poco dopo abbiamo appreso che erano arrivati a Trieste dall’ Italia provocatori e personaggi pericolosi. Il denaro arrivava agli agitatori triestini direttamente dagli uffici del Ministero dell’ Interno italiano: così veniva ad esempio finanziato il “Circolo di Cavana per la Difesa dell’ Italianità: si trattava della cosiddetta “Banda Johnny”. Ci sono documenti firmati da Andreotti in cui compaiono i conti per le spese sostenute: gli “stipendi” per persone, per i veicoli. Con questi fondi pagavano anche il carburante delle Lambrette che “spontaneamente” correvano per le strade di Trieste con le bandiere tricolori”.
“Tutte le manifestazioni filo-italiane erano organizzate da una minoranza politicizzata a destra che fu quella che commise gli atti di violenza. Naturalmente c’ erano anche manifestanti in buona fede. Ma le provocazioni erano continue e le false notizie anche. Ad esempio quando si leggeva su “Il Giornale di Trieste che un pacifico commerciante era stato selvaggiamente aggredito e poi, leggendo il nome, scoprivamo che si trattava di [omissis], cioè di un individuo pagato dall’ Ufficio numero 5 del Ministero degli Interni italiano. ‘C’ era un garage dove i componenti delle “bande” di Cavana e del Viale si recavano per fare il pieno di benzina ed anche a ritirare le Lambrette per le manifestazioni. Quando poi l’ Italia tornò a Trieste e questi teppisti non servivano più, parecchi di loro finirono in carcere. Non erano idealisti: erano in realtà veri e propri delinquenti.
Nei documenti che poi sono stati trovati in un armadio nascosto al Ministero degli Interni a Roma c’ erano le loro richieste: in una lettera chiedevano veicoli veloci, quaranta pistole e almeno due milioni di lire. A quel tempo non avevamo prove ma sapevamo già molto e soprattutto chi tenere d’ occhio. Per noi della Polizia Civile il clima era molto teso, tutte le licenze e i permessi erano stati sospesi, tutti gli agenti erano stati richiamati in servizio. Avevamo ricevuto l’ ordine di muoverci sempre a coppie anche se eravamo in abiti civili; sempre armati e con il colpo in canna facendo attenzione a non frequentare zone della città dove avremmo potuto essere riconosciuti.»


Da: "Bora.La", Scampoli di storia - Rubrica a cura di Paolo Geri , 19 aprile 2013.

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