25 aprile 2016

Fiume e Rijeka: il dopoguerra, la coabitazione, il cemento, gli urbanisti e gli archistar

Il produttivismo socialista della Jugoslavija di Tito. I lunghissimi anni del dopoguerra schiacciati fra la paura dell'intervento sovietico e le illusioni autogestionarie. Cosa ne è rimasto nella città più saccagnata dal Novecento.
Skyscrapers in Rijeka.
Il centro di Fiume prima e dopo la cura costruttivista degli urba-
nisti di Tito, iniziata negli anni del dopoguerra e sviluppatasi fi-
no agli anni Settanta. Proprio come da noi, proprio come Le Cor-
busier come Renzo Piano (incredibilmente simili nei risultati,
anche se gli assunti ideologici di di partenza erano molto diversi).
I primi piani quinquennali consa-crati all'industria pesante, l'abban-dono delle campagne e il conseguente urbanesimo.
La mancanza di alloggi, la coabitazione e la politica della casa nei centri urbani hanno prodotto soluzioni sbrigative: costruire in altezza.
Cantieri su cantieri che hanno ac-cerchiato e invaso il vecchio centro cittadino, ottocentesco e ancora a misura d'uomo. La città ne è uscita sfregiata, forse più di quelle dell'oc-cidente capitalista.
Costruire in altezza: Tito e i suoi non erano i soli a pensarla così in quegli anni e i critici di casa nostra farebbero bene a ricordarsi prima di Le Corbusier (l'urbanista) e poi di Renzo Piano (l'archistar) entrambi intellettuali interamente occidentali, e l'archistar Piano ne ha fatte di cazzate, a partire dalla distruzione del quartiere dei mercati Les Halles a Parigi.
Le concezioni urbanistiche di Le Corbusier vennero molto teorizzate e poco praticate in Europa.
Fra gli esempi paradigmatici più coe-renti abbiamo a Trento nei primi anni Settanta le "Torri di Madonna Bianca", alla periferia Sud della città: per dire che all'epoca la Jugo è stata, in fondo in fondo e incredibili dictu, assolutamente "up to date", addirittura più occidentale e più moderna del Norditalia.

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